venerdì, settembre 22, 2006

Dolore e Cambiamento

Ho letto che la sofferenza nasce dalla nostra incapacità di cambiare.

Non sono convinto che sia sempre così: sicuramente soffriamo quando cerchiamo di restare "attaccati" ad idee, emozioni ed abitudini mentre tutta la vita cambia (dentro e fuori di noi). Ma credo che la sofferenza abbia anche altre fonti.

Una prima domanda che mi pongo fin da quando ero un ragazzino ed a cui non so rispondere è se la sofferenza nasca dentro o fuori di noi. Io credo che in fondo la sofferenza, così come la felicità, dipendano più da noi, che dalle circostanze esterne: è infatti possibile trovare persone "esternamente" fortunate (cioè sane, ricche, ...) che però soffrono e persone "sfortunate" che sono invece felici (è chiaro comunque che essere felici quando si è in salute, ricchi, amati, etc. è molto più facile).

Allora forse la sofferenza, più che dalla nostra resistenza al cambiamento, nasce dalla nostra ignoranza ed incapacità di accettarci ed accettare la vita così com'è.
Forse se fossimo davvero in grado di "vedere" ogni evento inserito nel grande disegno della Vita, la sofferenza svanirebbe perchè capiremmo il senso di ciò che sta accadendo. Certo potrebbe rimanere il dolore (ad es. per le malattie), ma se ne andrebbero tutte quelle emozioni negative quali angoscia, rabbia, frustrazione, depressione, che alimentano la sofferenza.

D'altro lato però non mi sembra corretto pensare che tutte le cause della sofferenza nascano dentro di noi e che sia possibile e giusto eliminare tutta la sofferenza dalla nostra vita: non soffrire di fronte a certi eventi negativi estremi sarebbe saggio o disumano?

Da un punto di vista più pratico io penso che noi siamo naturalmente portati alla ricerca della felicità e quindi all'eliminazione della sofferenza ed in questo percorso chi si rivolge all'interno è probabilmente destinato ad avere maggior successo di chi cerca la felicità all'esterno.

Però forse l'eliminazione della sofferenza o il raggiungimento della felicità non sono lo scopo principale di questa nostra vita.

Le mie riflessioni devono prendere un'altra direzione, più profonda.
mat

martedì, settembre 19, 2006

Schema del nostro io


Da molto tempo mi attira l'idea di riuscire a disegnare uno schema dell' "io".
Questo è un primo tentativo di mostrare i tre livelli del nostro io: quello esterno, con il quale interagiamo con gli altri, quello più interno nel quale ci sono gli aspetti "profondi" della nostra vita ed infine quello centrale, dove in realtà il nostro io scompare per lasciare posto alla chiara luce.

mat

mercoledì, settembre 13, 2006

Scendere dal piedistallo

Ho visto un vecchio, magro, sporco, capelli lunghi, seduto a terra in stazione. Mi ha guardato negli occhi, tra la gente che passava indifferente.
Anch'io sono passato indifferente.
Più tardi ho letto alcune parole del Dalai Lama sulla compassione e sul fatto (ovvio) che tutti gli uomini sono uguali ed hanno la stessa aspirazione alla felicità.
Mi è tornato in mente quel vecchio ed ho cercato di "sentire" che nel profondo dell'essere, io sono uguale a lui. Non ci sono riuscito fino in fondo.
La difficoltà principale è probabilmente il fatto che io considero importanti una serie di traguardi che ho raggiunto (famiglia, lavoro, relazioni sociali, cultura, ...), mi considero bravo per essere riuscito a raggiungerli e dentro di me penso che tutto questo abbia più "valore" di una vita trascorsa sdraiato in una stazione a chiedere la carità.

Mi sono ritornate in mente alcune frasi di Teresa di Lisieux (in "Storia di un anima"): "Ho compreso che tutti i fiori che Egli (Dio) ha creato sono belli ... Ho capito che se tutti i fiorellini volessero essere rose, la natura perderebbe il suo aspetto ... la perfezione consiste nel fare la Sua volontà, nell'essere ciò che Lui vuole che noi siamo."

Come capire che tutti possiamo raggiungere la perfezione, magari chiedendo la carità in stazione?
Come intuire che siamo parte di un disegno più grande, dove la vita di un barbone ha lo stesso senso, la stessa importanza e la stessa dignità della mia vita?

Non è così facile scendere da un falso piedistallo.

mat

mercoledì, settembre 06, 2006

La mia morte

Il respiro è più faticoso e irregolare. Le inspirazioni sono corte. Prima di ogni inspirazione c'è una pausa ed il respiro sembra non venire mai.
Ho sempre meno energie, non riesco ad avere ossigeno a sufficienza: è come se stessi annegando, ma non riesco a dibattermi.
Oppressione.
La mia mente è oscura.
Sto perdendo la lucidità.
Vedo le immagini della mia stanza, ma ho momenti di buio.
Non riesco a combinare i pensieri.
Angoscia.
Non c'è più dolore, ma mi sento schiavo. Non capisco. Non voglio vivere questa situazione.
Il respiro è sempre più superficiale, cerco l'aria con tutte le mie forze, ma non riesco ad averne a sufficienza.
Qualcuno mi parla, ma è lontano e non capisco.
Provo a muovere una mano. Il movimento è scoordinato. Ricade.
Sono oppresso, schiacciato tra pareti troppo strette.
Si spengono i pensieri, non esistono più i nomi delle cose e delle persone.
Non esiste più nulla, se non le mie emozioni qui ed ora.
Il mio corpo è un oggetto inerte, non mi dà più sensazioni.
La vita fisica si sta dissolvendo.
Mi manca l'aria.
Non voglio vivere questa pena senza fine.